mercoledì 2 maggio 2012

La disubbidienza. I


La disubbidienza, per quanto fonte di sofferenza, è necessaria poiché indispensabile per l’autocoscienza. 
La disubbidienza è un'interruzione, è la capacità di scelta, è la libertà.
Ciò è il primo atto creativo, è l'elemento indispensabile all'evoluzione, è la divisione.
Con la disubbidienza egli riconosce la regola precedente e solo così è in grado di trasformarla per raggiungere lo stato di ubbidienza (armonia, riposo dell'anima).

Solo dopo la divisione (atto creativo) e la sofferenza che a questa segue egli è colui che non proviene da nessuno e non deve a nessuno.
Con la disubbidienza, attraverso un processo di morte e sofferenza, si giunge alla concretizzazione di ciò che è stato scelto, in proporzione alle proprie capacità.
Dopo la concretizzazione, sofferente e difficile, del risultato (conseguenza dell'interruzione), si possono leggere le regole ormai attuate (fermezza derivata dal movimento).
Dopo aver provocato la morte del movimento-dinamica precedente all'essere e del movimento successivo all'essere (tempo, spazio), allora solo è il vero movimento, ossia il centro, il comando, la fermezza che muove e gestisce tutto il dinamismo attorno a sé (il movimento fermo), che può apparire paradossale ma che, invece, è il ritmo di natura, un movimento, cioè, adiacente perfettamente alla legge universale.
Il concetto di ubbidienza permette ulteriori riflessioni.
L'uomo che elimina (con la morte) un altro uomo è costretto, senza capacità di scelta, senza possibilità di scelta, a subire una condanna. Egli è stato strumento di una legge che doveva attuarsi (destino). Un caso estremo è preso qui in considerazione per spiegare i movimenti quotidiani, ai quali l'uomo, pur ignorandoli, è costretto ad adiacere per destino.
Non altrettanto può dirsi dell'uomo guerriero che elimina cento uomini, egli infatti è premiato per questo.
Il motivo di questa differenza può condurre ad una proficua riflessione.
Il soldato, attraverso il piombo scagliato sugli uomini, attua la legge. Egli, cioè, è comunque uno strumento che risponde consapevolmente al realizzarsi di un principio universale. Procura consapevolmente la sofferenza altrui, oltre alla propria, per un fine universale, frutto di una disubbidienza.
La differenza è evidente tra l'uomo che uccide di sua iniziativa e chi lo fa garantito dalla legge: tutti e due obbediscono perfettamente al proprio destino.
In questo caso, ovviamente, è esplicito il tramutarsi della disubbidienza in ubbidienza.

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